PEREQUAZIONE-LA CEDU RESPINGE I RICORSI
Interessi economico-politici e diritto

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PEREQUAZIONE-LA CEDU RESPINGE I RICORSI- Interessi economico-politici e diritto

Il 15 ottobre u.s. la raccomandata della Corte Europea, spedita il 5.10.2018, ci ha informato del respingimento di tutti i nostri ricorsi riuniti nella procedura “Ricorso n° 25131/18 Signorelli ed Altri c/o Italia”.
Della decisione abbiamo già dato notizia via Mail a tutti i nostri assistiti per cui non ci rimane, in questa sede, che articolare alcune considerazioni sull’esperienza giudiziaria vissuta, sulle ragioni dei suoi esiti negativi e sui riflessi futuri che la stessa potrà avere.
 
Riguardo all’esperienza giudiziaria, essa può essere considerata positiva in quanto tutti i ricorsi hanno superato la difficile fase di sbarramento procedurale dell’art. 35 § 1° della Convenzione CEE, e considerati come ricevibili sono approdati alla fase decisoria.
 
Nella fase decisoria, stante la precedente pronunzia negativa avvenuta il 10.07.2018 sui Ricorsi n° 27.166 riguardante il caso Aielli e Altri c/o Italia e n. 27167 riguardante i casi Arboit ed altri c/o Italia ed affidata alla valutazione della Chambre (Collegio composto da 7 giudici), i nostri ricorsi sono stati affidati, ai sensi degli artt. 24§2 e 27 della Convenzione, alla valutazione di un Giudice Monocratico, già membro della Chambre che si era pronunciata in materia, nella persona della Dr.ssa Kristina Pardalos (San Marino). Quest’ultima, nella Camera di Consiglio del 20 Settembre 2018, facendo espresso riferimento ed adeguandosi alla precedente pronunzia del 10.7.2018 ed alle motivazioni ivi addotte, ha ritenuto le nostre domande “inammissibili” ritenendole “manifestamente infondate ai sensi dell’Art. 35 § 3° della convenzione.”(Vedi Link con Lettera informativa, sentenza in inglese e traduzione).
 
Riguardo alle ragioni della decisione, essendo stato il nostro ricorso definito “per relationem”, cioè riportandosi al precedente costituito dalla sentenza stipite (quella del 10.7.2018), non possiamo che attingere ai contenuti ed alle motivazioni ivi previste e che qui di seguito ed in sintesi riportiamo:

    A) La CEDU prende atto delle particolari condizioni in cui è stato emanato il D.L. 65/2015 con il quale lo Stato Italiano doveva soddisfare esigenze di contenimento della Spesa Pubblica per evitare il superamento del 3% del PIL ed il rischio di apertura a suo carico di una procedura di infrazione (Punti 28, 29 e 38 della sentenza);

    B) La CEDU si allinea, attribuendogli particolare valenza, a quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 250/2017 che ha attribuito piena legittimità al D.Lgs. Poletti sia riguardo alla progressività che alla proporzionalità introdotta dal comma 25bis dell’art.24 con il recupero economico ivi previsto con decorrenza dal 2014 (Punto 39 della sentenza);

    C) La CEDU rileva che il DL 65/2015 non ha alterato il valore nominale del trattamento pensionistico per cui non ha avuto un impatto significativo per le pensioni degli anni 2012 e2013 che pur non rivalutate sono rimaste invariate negli importi (Punto 36 della sentenza);

    D) La CEDU, infine, afferma “la modificabilità dei diritti quesiti in sede previdenziale in quanto, ai sensi dell’art. 1 Protocollo 1° alla Convenzione il potere Legislativo degli Stati include la facoltà di ridurre o modificare il montante delle prestazioni riconosciute in forza di un regime di previdenza sociale (punto 37 della sentenza).

    E) In conclusione, la CEDU ritiene che gli effetti della riforma del meccanismo perequativo sulle pensioni dei ricorrenti non siano di un livello tale da esporre gli interessati al rischio di disporre di mezzi di sussistenza insufficienti e non siano pertanto incompatibili con l’art. 1 Protocollo 1° citato. Alla luce di quanto esposto e tenuto conto del contesto economico difficile nel quale è intervenuta l’ingerenza litigiosa, si ritiene che questa non abbia fatto pesare un onere eccessivo sui ricorrenti” (Punto 41 della sentenza).

    Dalle motivazioni sopra dette, emerge chiaramente come la decisione della CEDU risulti fortemente condizionata da un orientamento politico-economico teso a privilegiare le esigenze di Bilancio e Contenimento della Spesa Pubblica Statuale, inteso come interesse generale della collettività rispetto alla tutela dei diritti della categoria dei pensionati, direttamente penalizzati prima dalla Legge Fornero e, dopo la declaratoria di incostituzionalità della stessa, dal D.Lgs. 65/2015 che avrebbe “legittimamente dato corso” all’esecuzione della Sentenza 70/2015 della Corte Costituzionale.
     
    E se una “decisione politica” della CEDU, per quanto deluda le aspettative dei ricorrenti, poteva rientrare nel paniere delle possibili soluzioni che si paventavano all’orizzonte, ciò che invece deve preoccuparci seriamente sono le modalità ed i principi che la CEDU ha posto a fondamento della decisione.
    Infatti La corte Europea, innanzi alla nostra contestazione dell’effetto trascinamento dei provvedimenti normativi del Legislatore Italiano, effetto che andava ed è andato al di là delle esigenze contingenti della situazione finanziaria del biennio 2011-2012, non ha dato alcuna giustificazione alla lesione permanente del diritto dei pensionati alla rivalutazione ( Da noi dimostrato attraverso il deposito della Relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e con conteggi personalizzati per singolo ricorrente) in assenza della perpetuazione dell’interesse pubblico. Inoltre, ha completamente disatteso, le sue precedenti decisioni in materia analoga ( Chinnici c/o Italia 22432/03; Angelov c/o Bulgaria 44076/98;Bibi c/o Grecia 15643/10 e M.C. ed altri c/o Italia 5376/11; Arras ed altri c/o Italia 17972/07) ove si faceva discendere la violazione automatica del diritto di proprietà dalla mancata rivalutazione di un credito, in ciò dando corso ad una inversione di rotta interpretativa che permettendo la reiezione del nostro caso specifico in materia di perequazione ha introdotto un precedente giurisprudenziale che potrà avere un notevole peso per il futuro “politico” che attende tutto il comparto pensionistico.
     
    A ciò si deve aggiungere che la Corte Europea , pur avendo rilevato “l’ingerenza litigiosa” dello Stato Italiano per la valenza retroattiva attribuita alla Legge Poletti, ne ha sostenuto comunque la legittimità, riportandosi alla Sent. 250/2017 della Corte Costituzionale Italiana, in quanto ha ritenuto che i suoi effetti “non abbiano fatto pesare un onere eccessivo sui ricorrenti”. Estendendo in tal modo il principio secondo il quale gli Stati Membri della CEE possono incidere sui diritti consolidati o riconosciuti giudiziariamente al cittadino o a categorie di cittadini attraverso l’emanazione di leggi retroattive che ne annullano in parte gli effetti in palese lesione dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto. E se questa nuova interpretazione della “ingerenza litigiosa” si rapporta alla norma (espressamente richiamata dalla Sentenza) fissata dall’Art. 1° Protocollo 1° alla Convenzione ove si prevede che “il potere Legislativo degli Stati include la facoltà di ridurre o modificare il montante delle prestazioni riconosciute in forza di un regime di previdenza sociale”, ne consegue che tale potere di “di ridurre o modificare” che secondo una lettura letterale della norma poteva essere esercitato solo per il futuro, oggi, invece, può essere esercitato dagli Stati anche con effetti retroattivi.
    In tal modo la CEDU ha sdoganato il principio che in materia previdenziale gli Stati Membri, sotto il generico cappello delle “esigenze di bilancio o di riequilibrio del sistema pensionistico”, possono modificare le leggi vigenti o le decisioni giudiziarie che le affermano con interventi normativi retroattivi che le disapplicano o ne paralizzano gli effetti del giudicato. E ciò sulla scorta dell’ulteriore valutazione che non vi sarebbe lesione della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo in quanto tali provvedimenti “non peserebbero come un onere eccessivo” sul cittadino.
     
    Così i Diritti inviolabili dell’Uomo che la Convenzione sin dagli anni cinquanta del novecento ha posto a presidio della civiltà giuridica dell’occidente, secondo la Corte Europea, possono essere oggi disattesi in ragione di discrezionali valutazioni politico-economiche e non necessariamente innanzi ad “imperative ragioni di interesse generale”.
    Così l’etica giuridica ed i suoi valori prioritari di riferimento come il legittimo affidamento, la certezza del diritto e del giudicato, i diritti quesiti vengono declassati da valori imprescindibili del patto sociale che regola lo Stato di Diritto Democratico al rango complementare di meri interessi sacrificabili sull’altare delle contingenze economiche statuali.
    Riguardo ai riflessi futuri, purtroppo, la decisione della CEDU rischia di alimentare nuovi interventi nel comparto pensionistico che su base retroattiva, il legislatore Italiano sembra avere in gestazione (Mi riferisco ai rumour su diverse ipotesi di intervento, dalla rideterminazione delle pensioni su base contributiva all’applicazione del contributo di solidarietà per le fasce più alte, ad un ulteriore blocco perequativo, all’introduzione della “pensione di cittadinanza” e via dicendo).
     
    E dopo la Sentenza 250/2017 ai cui contenuti politici si è chiaramente ispirata la decisione della CEDU, conforta il revirement che la Corte Costituzionale ha avuto subito dopo, sempre in materia previdenziale ( Fondo Pensioni Cassa Risp. Torino c/o INPS) con la sentenza n° 12 del 30 gennaio 2018, ove ha riaffermato i limiti all’efficacia retroattiva delle leggi “…nella salvaguardia dei fondamentali valori di civiltà giuridica, quali il principio di ragionevolezza, la tutela del legittimo affidamento, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico ed il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”. Inoltre nel complesso articolato in diritto della sentenza nr. 12/18, la Corte Costituzionale ha ripercorso, condividendone principi e presupposti, la giurisprudenza della CEDU sull’art. 6 della Convenzione in tutti quei casi in cui la stessa ha sanzionato gli Stati dell’Unione per l’illegittima ingerenza del Legislatore attraverso l’interpretazione o l’emanazione di nuove norme con valore retroattivo, quando queste non trovano giustificazione in “imperative ragioni di interesse generale”.
     
    E così, come nel gioco del Monopoli, dopo ondivaghe pronunce, siamo tornati al punto di partenza con un patrimonio di precedenti giurisprudenziali legato a diversi orientamenti che rendono carichi di incertezze le prospettive future.
    All’avvocatura, comunque, il compito di non arrendersi, di fare tesoro delle esperienze vissute e di riproporsi ancora, con pervicacia e competenza, nel vigile contenzioso contro l’operato di un Legislatore che sembra aver smarrito la strada della legittimità normativa proprio con la categoria dei pensionati. A noi, convinti assertori del rango costituzionale del diritto di difesa e del contraddittorio, il compito di continuare ad esercitarli con professionalità nell’interesse del pensionato e con esso di tutta la comunità sociale di cui siamo parte.
    Nel congedarmi definitivamente dai miei impegni, rivolgo a tutti i miei assistiti, veri combattenti, un grazie di cuore.

    La Sentenza CEDU

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    Avvocato Guido Chessa

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